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Il Premier britannico: “una decisione difficile

Con la Brexit la Gran Bretagna ha deciso che uscirà in modo definitivo dal programma per la mobilità delle studentesse e degli studenti universitari Erasmus+.

Il Premier Johnson, da sempre favorevole alla Brexit, ha ribadito lo stop alla partecipazione di Erasmus+, che prevede uno scambio co-finanziato dall’Unione Europea, di giovani studentesse e studenti sul territorio europeo. Ogni anno partecipavano circa 17 mila studentesse e studenti provenienti dalla Gran Bretagna e 32 mila dall’intera Unione Europea. 

Quali saranno le sorti di chi sta ancora svolgendo il programma in Inghilterra? L’accordo di recesso è già entrato in vigore il 1º febbraio 2020, L’Unione Europa precisa che rispetterà pienamente i propri obblighi in relazione al presente accordo e che i soggetti giuridici nel Regno Unito continueranno a ricevere finanziamenti per il programma Erasmus+, come se il Regno Unito fosse uno Stato membro, fino al completamento dei programmi. È quindi stata assicurata la continuazione fino alla scadenza del periodo di soggiorno per studentesse e studenti già in mobilità Erasmus+ nel Regno Unito.

Sembra che la decisione sia stata presa principalmente, ma non solo, per salvaguardare l’economia britannica. In Inghilterra si sta già pensando alla formazione di un nuovo programma di respiro globale che vedrebbe così la partecipazione di ragazze e ragazzi da tutto il mondo, portando avanti l’idea di una Global Britain. Il Turing Scheme, il nuovo programma di interscambio universitario, nel nome del matematico e crittoanalista britannico Alan Turing (nel 2014 è stato prodotto un film sulla sua vita, The Imitation Game, con protagonista Benedict Cumberbatch).

Un atteggiamento di forte chiusura verso lo scambio di idee e di esperienze all’interno dell’Unione Europea, decisione che non è stata presa bene nemmeno dalla Direttrice di Universities Uk International, Vivienne Stern, che la reputa “deludente ma non sorprendente”.

 

Fonti corriere.it | ec.europa.eu

Ylenia Covalea

 

Sostenibilità, cosa fare? Lavorare insieme

Diminuire l’impatto negativo che l’uomo ha sull’ambiente è diventato un obiettivo comune e diffuso, ma non basta: occorre agire concretamente. Lo scopo deve essere quello di creare una coscienza collettiva rispetto questi temi, molto caldi ed attuali. 

L’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile dell’ONU, ci aiuta nella comprensione del quadro generale: gli obiettivi per lo sviluppo riguardano svariati ambiti, come la dura lotta alla povertà, l’eliminazione della fame e il contrasto al cambiamento climatico, solo per citarne alcuni. Immaginare un mondo sempre più improntato alla sostenibilità, all’inclusione e alla democrazia, è un sogno ancora molto lontano dall’essere realizzato? Questi potrebbero sembrare temi utopici, ma non lo sono, per tale ragione il Pianeta interno deve lavorarci duramente, in sincronia con le istituzioni, le cittadine e i cittadini di ogni parte del Mondo.

Una Didattica sostenibile, aperta a nuove forme di dialogo e impegnata alla diminuzione dell’impatto negativo in termini ambientali, etici, sociali ed economici, è possibile? Che che ruolo ha la didattica in materia ambientale? Vediamo quali sono gli Atenei più virtuosi rispetto le questioni ambientali:

Bologna è al 1° posto della classifica nazionale GreenMetric 2020, seguita da Torino al 2° posto con l’Università degli Studi di Torino e al 3° con il Politecnico. L’Ateneo Torinese si piazza al 22° posto della classifica globale, con ben 19 posizioni in più rispetto all’anno precedente. Il Politecnico, invece, risulta essere al 3° posto in Italia e al 25° nel mondo, quando nel 2015, si trovava nelle ultime posizioni della graduatoria internazionaleLa classifica GreenMetric 2020 valuta la sostenibilità ambientale e sociale di più di 900 campus universitari. Vediamo le percentuali raggiunte da UniTO:

 

Infrastrutture: aree verdi e budget dedicato alla sostenibilità: 15%

Energia: consumi e politiche per ridurne l’impatto:  21%

Rifiuti: trattamento e riciclo: 18%

Acqua: conservazione e riciclo: 10%

Trasporti: mobilità sostenibile nelle sedi universitari: 18%

Didattica e ricerca: 18%

 

A Torino le emissioni di CO2 si sono ridotte del 33 percento tra il 1991 e il 2017 e, grazie alle ulteriori misure, nel 2020 la riduzione raggiungerà il 35 percento. Nel rapporto di monitoraggio del piano d’azione per l’energia sostenibile, si indicano le azioni da realizzare entro il 2020. L’impegno per ampliare l’utilizzo di lampade LED nell’illuminazione pubblica e l’istallazione di nuovi punti acqua SMAT sul territorio urbano, il potenziamento dell’utilizzo dei parcheggi di interscambio, l’estensione della rete del protocollo Ape (Acquisti pubblici ecologici). E ancora: nuovi interventi di forestazione urbana e l’aumento della raccolta differenziata.

 

Nel 2020 l’obiettivo volto ad incrementare la sostenibilità negli atenei italiani deve diventare un goal condiviso, infatti nell’agosto scorso è stata firmato l’Accordo della Rete delle Università per lo Sviluppo Sostenibile per concorrere insieme alle diffusione delle “buone pratiche di sostenibilità” anche all’interno delle università. Diminuire l’impatto sull’ambiente, migliorare le attività di gestione degli aspetti ambienti e sociali, creare formazione ed orientamento rispetto i temi della sostenibilità ambientale, collaborare con istituzioni e privati; sono solo alcune degli interventi che promuove il RUS (Rete delle Università per lo Sviluppo Sostenibile).

Ylenia Covalea

Immatricolazioni e Covid, sono scese drasticamente oppure la situazione è stabile? Vediamo l’andamento delle nostre università sul territorio piemontese. Il Piemonte è tra le regioni italiane più colpite dalla pandemia, ma pare che questo non abbia influito sulla volontà di studentesse e studenti di iscriversi all’università.

Uno studio condotto da IRES Piemonte ci permette di avere uno sguardo ampio rispetto la situazione degli atenei piemontesi, vediamo cos’è emerso. Sembra che le immatricolazioni per quest’anno, complessivamente, non abbiano risentito troppo degli effetti negativi del Covid19, le università piemontesi si sono preparate alla didattica a distanza che è tornata ad essere una realtà, in modo da permettere a tutte e tutti di proseguire il percorso universitario, a dispetto della difficile situazione che stiamo vivendo. Politecnico di Torino e UniTO hanno investito fondi per la distribuzione gratuita agli studenti e alle studentesse, in comodato d’uso, di computer portatili, tablet, router e sim, a sostegno come intervento diritto per favorire la fruizione della didattica a distanza.

Arriviamo a parlare di percentuali, il Piemonte Orientale ha visto un incremento del 3,5 per cento delle iscrizioni, incremento sostanziale si è registrato nelle facoltà in ambito medico, esse contano 577 immatricolazioni rispetto alle 399 dell’anno precedente, in totale, sono 3.926 gli studenti e le studentesse che frequentano UPO, l’Università del Piemonte Orientale. In tutto il resto della regione i dati rispecchiano una situazione pressoché stabile. Secondo il dossier di IRES che analizza la situazione geografica, calano studenti e studentesse residenti sul territorio piemontese, a fronte di un aumento dei fuorisede, in particolare coloro che provengono da oltre Ticino.

 

 

L’Università degli Studi di Torino vanta oltre 13 mila studenti e studentesse che alzano la soglia delle iscrizioni al 6 per cento, grazie anche ai vincitori e alle vincitrici delle graduatorie dei test di Medicina. Calano di poco le iscrizioni tra coloro che risiedono in Piemonte (-2 per cento) e nel Sud Italia, aumentano i fuorisede (6 per cento) insieme ad una crescita di studenti e studentesse internazionali (3 per cento), aumentano del 48 percento , invece, i provenienti dalla Lombardia.

 

Meno iscrizioni a Giurisprudenza, Economia, Statistica per le Organizzazioni e Scienze Politiche, studenti e studentesse preferiscono i corsi teledidattici: Amministrazione Aziendale e Scienze dell’Amministrazione. Cala drasticamente, invece, la percentuale di immatricolazioni a Scienze Gastronomiche, con il 22 per cento di iscrizioni totali in meno.

 

Studio IRES Piemonte | Fonte Corriere Torino

 

Ylenia Covalea


 

Anche quest’anno è stata rinnovata la collaborazione tra Il Corso di Studi triennale in DAMS (Discipline dell’Arte, Musica e Spettacolo) e il Corso Magistrale in CAM (Cinema, Arti della scena, Musica e Media) e il TFF Festival per l’attività del blog studentesco CineD@ms Torino,

 

Gli studenti e le studentesse che gestiscono il Blog, sotto la guida della Prof.ssa Mariapaola Pieriniseguono quotidianamente il Festival in programma dal 20 al 28 novembre 2020 (quest’anno completamente in streaming di MYmovies.it), attraverso recensionireportvideointervistefotografie. L’attività del blog è supportata e rilanciata sui social network Facebook, Twitter e Instagram.

 

Grazie alla collaborazione con il Master di Traduzione per il Cinema, la televisione e l’Editoria Multimediale del Dipartimento di Lingue e Letterature Straniere e Culture Moderne, le recensioni compaiono anche in versione inglese.

Qui trovi il blog

 

17 novembre 2020: giornata dello studente e della studentessa, vediamo perché si celebra oggi e conosciamo la (triste) storia dietro questo avvenimento

Il diritto allo studio è inalienabile e fondamentale. Lo studio forma la mente, la personalità e accresce la cultura personale, da sempre strumento avverso all’oppressione ed elemento di autodeterminazione. Questo è un concetto per noi essenziale, infatti la redazione di StudyinTorino ne ha spesso parlato; vi abbiamo raccontato di come gli studenti e le studentesse delle AFAM (Alta Formazione Artistica e Musicale) non siano considerati e considerate dal MIUR alla stregua di chi, invece, consegue una laurea in Ingegneria o in Lettere. Abbiamo discusso rispetto il divario economico che si è creato in questi mesi di didattica a distanza, con le università che hanno cercato, seppur in parte, di supplire alla mancanza di strumentazioni tecniche e rendere quindi lo studio un diritto, come è sancito nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani dell’ONU all’articolo 26: “ognuno ha diritto ad un’istruzione”. La nostra Costituzione, all’’articolo 34, è chiara: “la scuola è aperta a tutti”.

Oggi è la giornata internazionale degli studenti e (noi aggiungiamo) delle studentesse, una ricorrenza con cadenza annuale volta a rivendicare il diritto allo studio e all’espressione. Si svolge il 17 novembre, data non casuale, perché è l’anniversario degli eccidi nazisti contro gli studenti e i professori cecoslovacchi opposti al regime nazista.

Quando lo studio e la libertà d’espressione vennero “giustiziati”

È il 28 ottobre del 1939, Praga è occupata dai nazisti, in quel territorio che oggi conosciamo come Cecoslovacchia, ma che al tempo era chiamato Protettorato di Boemia e Moravia, le autorità naziste sedano una manifestazione nella capitale organizzata da studenti e studentesse della facoltà di medicina dell’Università Carolina per opporsi al regime totalitario di Adolf Hitler.

Il caos non tarda ad arrivare, presto il corteo viene preso dall’assalto e uno studente, Jan Opletal, viene colpito da un’arma da fuoco per morire l’11 novembre, dopo quasi due settimane. Qualche giorno dopo, il 15 novembre, un nutrito gruppo di di studenti e studentesse accompagnano il feretro del ragazzo verso la città natale in Moravia, il corteo funebre era composto da migliaia di studenti e studentesse fortemente opposti al regime nazista. Le forze armate arrestano ben 1200 studenti e studentesse per deportarli in un campo di concentramento. Chiudono anche tutti gli istituti di istruzione superiore: i diritti di degli studenti e delle studentesse, esattamente come di qualsiasi umano opposto al totalitarismo nazista, vengono ulteriormente calpestati. È il 17 novembre 1939, quando nove fra studenti e professori furono giustiziati senza processo: Josef Matoušek, Jaroslav Klíma, Jan Weinert, Josef Adamec, Jan Černý, Marek Frauwirt, Bedřich Koukala, Václav Šafránek e František Skorkovský. Questi accadimenti hanno dato il via a quella che oggi è ricordata come la Rivoluzione di Velluto del 1989, quando a morire è un altro studente, sempre in Cecoslovacchia, quando si stavano celebrando le ricorrenze in memoria degli orrori nazisti nel ‘39.

A Londra, nel 1941, il Consiglio Internazionale degli Studenti indice per la prima volta la questa giornata internazionale, proprio in ricordo della strage avvenuta in Cecoslovacchia, ma non solo. Questa ricorrenza ci fa riflette: anni di oppressione e sudditanza non possono essere dimenticati, bensì memorizzati, per non far cadere nell’oblio della storia quei nomi che, oggi, ricordiamo come attivi partecipanti di quella resistenza ci ha fatto ereditare un diritto oggi inalienabile; quello allo studio.

 

Wikipedia

Ylenia Covalea


 

 

La rivolta degli studenti e delle studentesse del Politecnico contro il regime oppressivo della Grecia

Oggi vogliamo fare con voi un tuffo nel passato, precisamente nel 1973, quando il Politecnico di Atene si rivolta fortemente alla dittatura dei colonnelli, nota anche come la Giunta, un regime dittatoriale di stampo fasciata che dal 1967 al 1974 ha terrorizzato la Grecia. Dopo un colpo di Stato ha soppresso il governo per operare in maniera subdola contro ogni tipo di libertà politica e personale. 

 

Gli eventi di cui ci occupiamo oggi cominciano il 14 novembre e finiscono il 17, quando un carro armato sfonda l’entrata del Politecnico provocando svariati feriti e moltissimi morti.

 

 

Nel periodo di totale controllo della Giunta militare, si assiste ad una serie di proibizioni: una delle tante è la negazione di ogni tipo di associazione studentesca e delle elezioni dei consigli universitari. Lo stesso anno un gruppo di universitari occupa la facoltà di Giurisprudenza di Atene, occupazione che termina presto con l’intervento delle forze armate a sedare la rivolta. È il 14 novembre e gli studenti e le studentesse del Politecnico indicono uno sciopero, occupano così la facoltà e prendono possesso delle apparecchiature per dar vita ad una radio dissidente che trasmette un messaggio chiaro: “Qui il Politecnico! Popolo greco, il Politecnico è la bandiera della vostra sofferenza e della nostra nostra sofferenza contro la dittatura e per la democrazia”. L’occupazione abusiva dura per tre giorni, quando un enorme carro armato irrompe all’interno del Politecnico e condanna chi è presente ad una notte di scontri; il governo spegne la luce all’intera città. Una metafora quella di “spegnere le luci” che soffoca la ragione, la cultura e la libertà personale di essere studenti e studentesse. Un avvenimento che ci deve far riflettere e domandare: cosa sarebbe un paese senza le sue università? Senza quei luoghi che sono la culla del sapere?

 

 

Torniamo ad Atene, perché l’orrore non è finito. Gli scontri tolgono la vita a 24 persone che stavano lottando per la libertà del loro paese, ormai in mano ad una dittatura sempre più forte, una delle vittime aveva appena 5 anni. Oggi l’avvenimento si ricorda con sentimento e fa parte della memoria collettiva di un paese che è la culla della civiltà ellenica, ma che al suo interno è divelto. È il 17 novembre quando la Giunta militare frena le rivendicazioni degli studenti e delle studentesse, non è una data importante solo per la Grecia; lo è per il mondo intero perché è il simbolo della lotta attiva delle università. Proprio quel giorno, ma nel 1939, vengono uccisi 9 tra studenti e professori, catturati dopo le protestare contro l’occupazione tedesca e le oppressioni perpetuate dal regime nell’ex Cecoslovacchia. Il 28 ottobre viene prima ferito Jan Opletal, uno studente che morirà l’11 novembre, poi 1200 studenti e studentesse in seguito vengono arrestati e deportati in un campo di concentramento, infine, il 17 novembre vengono assassinati, senza processo, 9 dei ragazzi e dei professori presenti alla manifestazione di Praga. Ne parleremo più approfonditamente nell’articolo che uscirà martedì prossimo, sempre sul nostro blog.

Noi vogliamo ricordare quei momenti e sostegno di una tesi: un mondo senza università non può esistere, un paese senza il suo sapere non può vivere. E ancora una volta capiamo quanto sia fondamentale il diritto, solo oggi inalienabile, allo studio e all’espressione personale, svincolata da ogni oppressore e regime totalitario. 

 

Il Post | Wikipedia

 

Ylenia Covalea


 

 

 

Connessi e soli, come nella New York di Olivia Laing

 

Viviamo in un’era dedita alla digitalizzazione del tutto; dal sapere alle relazioni, ora anche gli incontri sono online. Infinite e noiosissime riunioni su zoom, video-lezioni dall’audio intermittente, feste di compleanno senza tramezzini in videochiamata; la cosiddetta generazione z è cresciuta bombardata da informazioni e immagini che l’hanno resa sempre più ansiosa e dipendente dallo schermo illuminato del computer o dello smartphone.

Siamo ormai abituati a convivere con la costante idea di “esserci persi qualcosa” in quei pochi istanti di cessata connessione, quando abbiamo deciso per necessità di “abbassare la guardia”. Qual è la prima cosa che fai appena ti svegli la mattina? Molto probabilmente, ancora assonnato, afferri il cellulare per controllare le notifiche, i like sui social, i messaggi degli amici e le mail dei colleghi, una volta svolto questo rituale mattutino inizia davvero la tua giornata. Ci confrontiamo giornalmente con il timore di rimanere indietro perché ci viene richiesta un’attenzione costante, il tanto decantato multitasking è stressante e non sempre riesce ad appagarci. Ma la continua connessione digitale ci aiuta a sentirci meno soli? No, spesso è il contrario. Ci capita di passare intere giornate al pc svolgendo smartworking e chattando con gli amici, ma arriviamo a fine giornata con una specie di mancanza, un vuoto, una sensazione di frustrazione e affanno, come se avessimo corso per intero la maratona di New York senza esserci allenati. Sono un po’ le emozioni che Olivia Laing descrive nel suo Città sola (Il Saggiatore); la grande New York è “fatta di buio e silenzio: un’onirica capitale della solitudine” che vede transitare ogni giorno milioni di passeggeri soli, tristi e deprivati. Perché si, a New York, una delle metropoli più grandi e vive del mondo, ci si sente alienati, si è invisibili.

 

 

La connessione digitale non sempre riesce ad avvicinarci, non basta a placare la mancanza del contatto, del dialogo faccia a faccia e dello scambio di opinioni ed esperienze. Capiamoci, sono tempi difficili per tutti, è meglio mantenere le distanze e parlare da casa perché non è più sicuro conoscere qualcuno al di fuori dello spazio protetto della nostra dimora, la piccola safe-zone che in questi mesi di reclusione ci siamo creati, l’unica che può preservarci in questi tempi di pandemia globale.

Mettiamo la modalità aereo telefono, spegniamo il pc e respiriamo. Torniamo a connetterci con noi stessi, con le nostre passioni e con cosa riteniamo davvero più importante, che sia un gesto semplice come prepararci una tazza di tè e berla alla finestra, oppure leggere finalmente libro che abbiamo sul comodino da settimane. Dedichiamo del tempo alla self care e disconnettiamoci.

Passiamo ad analizzare qualche dato significativo: negli ultimi 25 anni, il numero degli adolescenti affetti da depressione è salito del 70%, sintomo di una correzione evidente tra sviluppo tecnologico ed incidenza di disturbi d’ansia e depressione tra i più giovani. Prendi un gruppo di ragazzi e ragazze di 24 anni e osservali per per 15 minuti: “sessanta ragazzi – Roberto Truzoli del Dipartimento di Scienze Biomediche e Cliniche Luigi Sacco e Michela Romano, psicologa e psicoterapeuta che in Galles ha portato avanti svariati progetti sulla dipendenza da internet – sono stati inizialmente sottoposti a una batteria di test per misurare i livelli di dipendenza dal web, l’umore, l’ansia, la depressione, la schizotipia e i tratti di autismo”. Al gruppo è stato poi chiesto di navigare su internet, al termine è stato testato il loro umore; il l risultato è stato duplice, vediamo perché: “nei ragazzi dipendenti da Internet si è vista una marcata riduzione del tono dell’umore subito dopo la navigazione rispetto al gruppo di giovani non dipendenti, che si è tradotta nel desiderio di recuperare un umore accettabile utilizzando nuovamente il mezzo che è stato causa del loro malessere”.

 

 

Se vi sentiti spesso sopraffatti dopo aver trascorso in internet troppe ore, non è semplicemente un caso, infatti la scienza ha fatto emergere che “la dipendenza da internet può rivelare un disagio psicologico di fondo, anche pregresso”. Quante volti accedi ad Instagram, Facebook e TikTok per pura noia, e ti ritrovi due ore dopo a guardare l’ennesimo video di un simpatico gattino che usa le zampatte per aprire una scatola di pelati? Troppe, se ti senti ansioso o nervoso, impiega quel tempo per altro, non deve necessariamente essere un’attività produttiva, ma datti anche la possibilità di annoiarti senza sentirti in colpa. Prova, ti sentirai meglio. Oggi, più che mai, stiamo capendo quanto sia importante prendersi cura della propria salute mentale; la dipendenza da internet è reale, infatti nel Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM 5) viene inserita nelle patologie di dipendenza da “non sostanze“. Se ti servisse aiuto non esitare a chiederlo, consulta un esperto oppure contatta uno dei tanti numeri verdi: 

800 274 274Progetto Itaca

800 833 833 — Sportello d’ascolto per il Covid 19

800 91 3880Sportello ISIDAP — Istituto Specialistico Italiano Disturbi da Attacchi di Panico

366.9358518 — Servizio dell’ASL TO4 per l’ascolto psicologico telefonico rivolto ai cittadini adulti

 

Ylenia Covalea

 

Dpcm e università: la difficile situazione delle università italiane

 

Abbiamo già visto come la pandemia non sia riuscita a frenare l’alto numero di immatricolazioni all’università, gli atenei si sono quindi adoperati ad accogliere studenti e studentesse in sicurezza: lezioni in presenza, didattica a distanza e ingressi contingentati. Per contrastare la diffusione del contagio, le autorità regionali, locali o sanitarie, potranno valutare le situazioni particolarmente rischiose e per questo adottare forme differenti per continuare a garantire la sicurezza nello svolgimento dell’attività didattica per corpo docente, personale A.T.A. e studenti.

 

 

Ci dobbiamo quindi aspettare forme differenti di didattica in base all’andamento del quadro epidemiologico e alle esigenze formative. L’Accademia Albertina di Torino, per esempio, ha predisposto alcune lezioni in presenza che necessitano di uno scambio tra docenti e studenti. Proprio per le AFAM e le università si è fatta particolare attenzione riguardo ad allievi e allieve con disabilità, che potranno svolgere, se la situazione lo dovesse richiedere, le attività formative anche da casa. Il Nuovo Dpcm chiarisce anche lo svolgimento di tirocini delle professioni sanitarie e dei corsi di formazione specialistica, essi potranno proseguire, dove necessario, in modalità non in presenza.

C’è anche da contare la difficile organizzazione del trasporto pubblico verso scuole e università, come già evidenziato dall’Indagine nazionale sulla mobilità casa-università al tempo del Covid-19 realizzata dalla Rete delle Università per lo Sviluppo Sostenibile, il trasporto sarà il settore che più pagherà le conseguenze di questa pandemia, gli studenti e le studentesse che si recheranno a lezione preferiranno forme alternative di spostamento: l’automobile, il monopattino o la bici.

 

 

La situazione è in continuo capovolgimento, non ci resta che attendere le risposte delle università, specie in materia di tirocini e laboratori che necessitano di essere svolti in presenza, dove spesso nelle aule non è possibile mantenere una stanza adeguata per evitare il contagio. Ancora una volte le università devono far fronte ad una situazione difficile e precaria, generata da anni di continui tagli ad infrastrutture e fondi dedicati alla formazione. 

Ylenia Covalea

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Il Politecnico si muove verso la conoscenza e l’analisi dei cambiamenti climatici che stanno affliggendo il nostro pianeta inaugurano il MovingLab.

 

MovingLab è il nuovo laboratorio mobile allestito nell’ambito del progetto cambiamenti_climatici@polito del Dipartimento di Ingegneria dell’Ambiente, del Territorio e delle Infrastrutture (DIATI). Il laboratorio ha già girato l’Italia percorrendo oltre 3.000 km, dal Gran Sasso alla Puglia. È attrezzato con pannelli fotovoltaici per garantire una sufficiente autonomia nelle attività di analisi dei dati raccolti anche durante lunghe trasferte in ambienti remoti.

 

Perché è importate agire concretamente e occuparsi dei cambiamenti climatici, oggi più che mai?

 

È necessario limitare il riscaldamento globale a quota 1,5°C azzerando così le emissioni di CO2. Entro il 2050 le emissioni di gas serra, di natura antropica e naturale, dovranno essere ridotte della metà rispetto al 1990, per arrivare alla “neutralità carbonica” intorno alla fine del 2000. L’Unione Europea ha perciò adottato normative volte ad incentivare l’uso di energie rinnovabili come quella eolica, solare, idroelettrica e da biomassa.

 

 

Qual è lo scenario che si andrà man mano a creare se i livelli di emissioni non diminuiranno? 

 

Il livello del mare si innalzerà, le ondate di calore saranno sempre più frequenti, così come le delle alluvioni e l’aumento di tempeste e uragani, anche in quelle parti del mondo che prima non erano soggette a questi cataclismi.

Il riscaldamento globale va fermato, altrimenti avrà effetti catastrofici. L’impatto sarà devastante su milioni di persone e specie animali, in ogni area del mondo. Ogni singolo comportamento è importante, ognun* di noi può e deve agire in modo consapevole. Basti pensare all’inquinamento prodotto dagli allevamenti intensivi di bovini volti a nutrire l’essere umano: ogni animale rilascia nell’atmosfera gas serra equivalenti a due tonnellate di CO2 l’anno; è la principale causa del riscaldamento globale, i bovini al mondo sono più di un miliardo. 

Bisogna agire concretamente perché di pianeta ne abbiamo uno solo e occorre salvaguardarlo finché ci è ancora concesso. 

Ylenia Covalea

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Quest’anno chi ha sostenuto il test per le specializzazioni in Medicina non avrà vita semplice: il MIUR blocca la graduatoria, ma cos’è successo?

 

Troppi i ricorsi al TAR e il Ministero dell’Istruzione decide di sospendere la graduatoria che conta ben 22 mila futuri specializzandi e specializzande in medicina, che nel nostro paese mancano. 

Il Ministero aveva predisposto un numero più alto di borse di studio per incrementare le iscrizioni alle specializzazioni, da 8.776 a 14.395, ma le limitazioni imposte erano molte:

  • Gli iscritti e le iscritte al secondo e terzo anno del corso di Medicina Generale non potevano concorrere
  • I punteggi del Curriculum Vitae non valevano per chi fosse già in possesso di uno stipendio da specializzando/a o corsista oppure di un diploma di specializzazione per medici con contratto in una struttura sanitaria.

Molte sono state le perplessità, per questo il TAR del Lazio ha accolto i ricorsi mettendo quindi a rischio la validità dell’intero concorso. Il MIUR non ha pubblicato le graduatorie, per questo centinaia di studenti e studentesse hanno chiesto che vengano rese pubbliche.

 

 

La situazione italiana è marginale, infatti il nostro Paese risulta essere in fondo alla lista per l’impiego di fondi dedicati alla ricerca e all’istruzione, due ambiti oggi più che mai, importanti e necessari. Trascurare università e ricerca è sintomo di un paese che non ha intenzione di investire nel futuro, per questo migliaia di studenti e studentesse tentano la strada del dottorato all’estero. 

In Italia i fondi sono pochi e mal gestiti, solo l’1,4% del PIL è destinato alla ricerca e per fronteggiare la carenza di medici sono state predispose 1.200 borse di studio per la specializzazione medica, ma per la CISL Medici ne servirebbero almeno 11 mila per formare il nuovo personale medico. 

Si è sperato che la difficile situazione dovuta al Covid facesse capire l’estrema importanza di investire in salute, ricerca e università, ma le graduatorie delle di Medicina ci fanno presto piombare alla realtà: la proprietà non è ancora l’istruzione, ma è necessario che lo diventi presto. 

 

Ylenia Covalea

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