Connessi e soli, come nella New York di Olivia Laing

 

Viviamo in un’era dedita alla digitalizzazione del tutto; dal sapere alle relazioni, ora anche gli incontri sono online. Infinite e noiosissime riunioni su zoom, video-lezioni dall’audio intermittente, feste di compleanno senza tramezzini in videochiamata; la cosiddetta generazione z è cresciuta bombardata da informazioni e immagini che l’hanno resa sempre più ansiosa e dipendente dallo schermo illuminato del computer o dello smartphone.

Siamo ormai abituati a convivere con la costante idea di “esserci persi qualcosa” in quei pochi istanti di cessata connessione, quando abbiamo deciso per necessità di “abbassare la guardia”. Qual è la prima cosa che fai appena ti svegli la mattina? Molto probabilmente, ancora assonnato, afferri il cellulare per controllare le notifiche, i like sui social, i messaggi degli amici e le mail dei colleghi, una volta svolto questo rituale mattutino inizia davvero la tua giornata. Ci confrontiamo giornalmente con il timore di rimanere indietro perché ci viene richiesta un’attenzione costante, il tanto decantato multitasking è stressante e non sempre riesce ad appagarci. Ma la continua connessione digitale ci aiuta a sentirci meno soli? No, spesso è il contrario. Ci capita di passare intere giornate al pc svolgendo smartworking e chattando con gli amici, ma arriviamo a fine giornata con una specie di mancanza, un vuoto, una sensazione di frustrazione e affanno, come se avessimo corso per intero la maratona di New York senza esserci allenati. Sono un po’ le emozioni che Olivia Laing descrive nel suo Città sola (Il Saggiatore); la grande New York è “fatta di buio e silenzio: un’onirica capitale della solitudine” che vede transitare ogni giorno milioni di passeggeri soli, tristi e deprivati. Perché si, a New York, una delle metropoli più grandi e vive del mondo, ci si sente alienati, si è invisibili.

 

 

La connessione digitale non sempre riesce ad avvicinarci, non basta a placare la mancanza del contatto, del dialogo faccia a faccia e dello scambio di opinioni ed esperienze. Capiamoci, sono tempi difficili per tutti, è meglio mantenere le distanze e parlare da casa perché non è più sicuro conoscere qualcuno al di fuori dello spazio protetto della nostra dimora, la piccola safe-zone che in questi mesi di reclusione ci siamo creati, l’unica che può preservarci in questi tempi di pandemia globale.

Mettiamo la modalità aereo telefono, spegniamo il pc e respiriamo. Torniamo a connetterci con noi stessi, con le nostre passioni e con cosa riteniamo davvero più importante, che sia un gesto semplice come prepararci una tazza di tè e berla alla finestra, oppure leggere finalmente libro che abbiamo sul comodino da settimane. Dedichiamo del tempo alla self care e disconnettiamoci.

Passiamo ad analizzare qualche dato significativo: negli ultimi 25 anni, il numero degli adolescenti affetti da depressione è salito del 70%, sintomo di una correzione evidente tra sviluppo tecnologico ed incidenza di disturbi d’ansia e depressione tra i più giovani. Prendi un gruppo di ragazzi e ragazze di 24 anni e osservali per per 15 minuti: “sessanta ragazzi – Roberto Truzoli del Dipartimento di Scienze Biomediche e Cliniche Luigi Sacco e Michela Romano, psicologa e psicoterapeuta che in Galles ha portato avanti svariati progetti sulla dipendenza da internet – sono stati inizialmente sottoposti a una batteria di test per misurare i livelli di dipendenza dal web, l’umore, l’ansia, la depressione, la schizotipia e i tratti di autismo”. Al gruppo è stato poi chiesto di navigare su internet, al termine è stato testato il loro umore; il l risultato è stato duplice, vediamo perché: “nei ragazzi dipendenti da Internet si è vista una marcata riduzione del tono dell’umore subito dopo la navigazione rispetto al gruppo di giovani non dipendenti, che si è tradotta nel desiderio di recuperare un umore accettabile utilizzando nuovamente il mezzo che è stato causa del loro malessere”.

 

 

Se vi sentiti spesso sopraffatti dopo aver trascorso in internet troppe ore, non è semplicemente un caso, infatti la scienza ha fatto emergere che “la dipendenza da internet può rivelare un disagio psicologico di fondo, anche pregresso”. Quante volti accedi ad Instagram, Facebook e TikTok per pura noia, e ti ritrovi due ore dopo a guardare l’ennesimo video di un simpatico gattino che usa le zampatte per aprire una scatola di pelati? Troppe, se ti senti ansioso o nervoso, impiega quel tempo per altro, non deve necessariamente essere un’attività produttiva, ma datti anche la possibilità di annoiarti senza sentirti in colpa. Prova, ti sentirai meglio. Oggi, più che mai, stiamo capendo quanto sia importante prendersi cura della propria salute mentale; la dipendenza da internet è reale, infatti nel Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM 5) viene inserita nelle patologie di dipendenza da “non sostanze“. Se ti servisse aiuto non esitare a chiederlo, consulta un esperto oppure contatta uno dei tanti numeri verdi: 

800 274 274Progetto Itaca

800 833 833 — Sportello d’ascolto per il Covid 19

800 91 3880Sportello ISIDAP — Istituto Specialistico Italiano Disturbi da Attacchi di Panico

366.9358518 — Servizio dell’ASL TO4 per l’ascolto psicologico telefonico rivolto ai cittadini adulti

 

Ylenia Covalea