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Dad e didattica: con il nuovo Dpcm il Piemonte é entrato nella zona rossa e la didattica torna ad essere online. È chiaro, questa emergenza ci ha insegnato che la didattica non può e non deve fermarsi, e in quanto priorità di ogni studente e studentessa, deve essere il più possibile inclusiva.

Il Digital Economy and Society Index (Desi) misura il livello di digitalizzazione dei paesi europei, dov’è posizionata l’Italia? Ultima, sia per competenze digitali che per capitale umano. Nel 2020 l’uso di internet si è drasticamente alzato, ma è un dato relativo al confinamento domestico in risposta alla pandemia da Covid-19, è sicuramente un dato che deve essere letto tenendo conto del contesto in cui viviamo (le persone che usano internet almeno una volta a settimana sono l’85 %).

La DaD, simpatico acronimo di didattica a distanza, ha acceso non poche critiche: non ti gli studenti e le studentesse possiedono una sufficiente connessione ad internet, un pc e una stanza tutta per sé dedicata allo studio. Questo è solo l’apice della disuguaglianza nelle nostre scuole e università, di Dad ha parlato Antonio Schizzerotto, Professore Emerito del Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale dell’Università di Trento: “Con la didattica a distanza tutte le disuguaglianze si sono acuite, innanzitutto perché sappiamo che non tutte le zone del paese sono ugualmente coperte da connessione internet, inoltre secondo i dati ISTAT, una quota non banale di popolazione scolastica non ha accesso diretto o indiretto a strumenti come tablet, pc portatili, o i-phone”.

 

Manca l’inclusività, c’è molto lavoro da fare

Basta entrare in un’aula universitaria per capire che sì, sicuramente la didattica deve essere rimodulata. Perché non adottare il cosiddetto “students-centered learning”, l’apprendimento rivolto allo studente?

La didattica centrata allo studente deve investire tempo e risorse per la creazione di conoscenze e competenze dell’allievo, rendendolo dunque parte attiva nella nostra società. Non solo conoscenza, ma anche creatività, capacità critica e propensione a prendere iniziative: è la creazione di un nuovo studente, partecipe, interessato e creativo. Si parla di problem-based learning; task-based learning; learning by doing; group learning: tutte iniziative che vogliono lo studente al centro del discorso educativo.

L’SCL (students-centeredlearning) ha bisogno una definizione chiara delle competenze da sviluppare; l’implementazione di una varietà di approcci adatti a tutti, perché non tutti gli allievi imparano e si esprimono allo stesso modo: occorre più flessibilità nel discorso educativa, lo studente dovrebbe poter sviluppare il proprio piano di studio secondo le sue esigenze di apprendimento.

 

 

La didattica italiana dovrebbe prendere in considerazione il fatto di valorizzare ogni studente e ogni studentessa nelle loro diversità e peculiarità. Conoscete Howard Gardner? È uno psicologo e professore alla Harvard University, tra i più importanti esponenti della scienza cognitivista (The Mind’s New Science, 1983), ha teorizzato l’esistenza delle intelligenze multiple. L’intelligenza non può essere misurata da un Quoziente d’intelligenza, ma piuttosto è bene adottare un atteggiamento più dinamico.

Parliamo di:

  • Intelligenza logico-matematica
  • Intelligenza linguistica
  • Intelligenza spaziale
  • Intelligenza musicale
  • Intelligenza cinestetica o procedurale
  • Intelligenza interpersonale
  • Intelligenza intrapersonale
  • Intelligenza naturalistica
  • Intelligenza filosofico-esistenziale

Lo studio è ricerca, miglioramento, “doing” e risoluzione di problemi, in questo il ruolo dell’insegnante è fondamentale: deve essere una Virgilio per i suoi studenti, accompagnarli e sostenerli nel loro percorso di formazione. Sarebbe utile tornare a ripensare alla mission dell’università: la formazione di nuove e giovani menti in grado di sviluppare un pensiero critico nei confronti della realtà e l’università dovrebbe fornire gli strumenti adeguati a tutti e tutte per farlo, senza lasciare nessuno indietro. 

 

 

Ylenia Covalea

 

Terra di tesori artistici e molteplici contraddizioni, si può ancora studiare arte e farne un lavoro?

 

Siamo fieri del nostro patrimonio, della cultura millenaria che difendiamo a spada tratta e di quell’arte prodotta dai più grandi artisti che il nostro paese potesse partorire, ma in Italia con l’arte non si può vivere. Perché è così difficile farlo in un paese che può vantare ben 55 siti riconosciti come patrimonio mondiale UNESCO? Uno degli ultimi è un orgoglio piemontese: Ivrea, la sede dell’Olivetti e città industriale del XX secolo. 

Ma nel primo paese al mondo per presenza di siti di interesse mondiale, com’è possibile che i professionisti e le professioniste dell’arte non abbiano diritti? Una laurea conseguita all’interno di un’accademia di belle arti è solo equipollente ad una regolarmente riconosciuta e conseguita all’università. Benvenuti nel mondo delle AFAMAlta Formazione Artistica, Musicale e Coreutica, istituite solo nel 1999, dove i laboratori sono inagibili e i fondi non arrivano mai. La maggior parte del corpo docente non ha il posto fisso, infatti di anno in anno la loro cattedra è vacante: i contratti sono i famigerati co.co.co, che spesso dati i ritardi e i continui rinvii del MIUR, non possono permettere una certa stabilità negli insegnamenti, questo si riversa inesorabilmente su studenti e studentesse che spesso sono costretti a cambiare docente ad anno scolastico già avviato. Da un lato ci sono i lavoratori precari delle AFAM che non hanno né congedi parentali né giorni di malattia, dall’altro studentesse e studenti di tutta Italia che sono ancora ben lontani dall’essere considerati universitari e dall’avere gli stessi diritti.

 

 

Dal sito del Ministero dell’Istruzione, che non sta sicuramente vivendo mesi semplici, leggiamo che “Il Ministero contribuisce annualmente al sostegno finanziario delle Istituzioni AFAM, attraverso diverse linee di finanziamento”, poi si fa riferimento ai vari contributi per migliorare la didattica, fondi per supplenze e attrezzature. Ma gli studenti e le studentesse stanno ancora attendendo una risposta dal Ministero che, ancora una volta, ritarda nell’approvazione dei nuovi piani di studio: l’anno accademico è alle porte e l’incertezza è tanta. Con il decreto ministeriale del 14 luglio 2020 emanato dal Ministro dell’Università e della Ricerca, sono stati delineati i criteri di ripartizione del “Fondo per le esigenze emergenziali del sistema dell’Università, delle istituzioni di alta formazione artistica musicale e coreutica e degli enti di ricerca”, che ha destinato 9 milioni di euro per le AFAM pubbliche e 1 milione per quelle private. 

Le accademie di belle arti e i conservatori erano istituti superiori alla pari delle università di Architettura, ma il regime fascista le fece diventare istituzioni scolastiche, iniziò così un lungo periodo di declassamento. Solo alla fine degli anni Novanta venne concessa l’equipollenza con le università e la supervisione del Ministero dell’Università e della Ricerca, una storia difficile già in partenza. Anche il riconoscimento in ambito universitario dei crediti accademici ottenuti, i cosiddetti CFA, è un procedimento complesso, spesso per le università questi non valgono.

Si pensa spesso che l’arte non possa che essere un passatempo, un hobby, ma per moltissimi professionisti è un lavoro che deve essere riconosciuto alla pari di qualsiasi altra professione. Non sappiamo valorizzare le nostre bellezze, non siamo in grado di gestire i fondi dedicati all’arte e alla cultura, forse perché sono ambiti permeati dal pregiudizio che possano essere economicamente poco fruttuosi, ma non è così; l’arte sta virando verso una digitalizzazione impressionante. Le Art Industries esistono e rendono milioni di euro: realtà aumentata, apparecchiature tecnologiche per un experience museale in sicurezza, tecnologie 3D. I modelli espressivi si stanno adeguando ad ogni situazione, ma sembra che il mercato dell’arte debba rimanere ancora prerogativa di pochi eletti. 

 

 

Bisognerebbe partire dal riconoscimento dei diritti fondamentali per studenti, studentesse e corpo docente, poi si imparerà a valorizzare e curare il patrimonio artistico del nostro Paese, esso ha bisogno laureati e laureate nelle venti accademie italiane che sappiano curare quello che per anni è stato lasciato in balia del degrado. Uno stato che dedica solo il 4,1% del proprio PIL all’istruzione, non potrà mai reputare l’istruzione un campo essenziale per la crescita e la formazione di menti artistiche in grado di migliorare l’Italia.

L’arte in Italia non è una priorità.

Fonte: The Vision

 

Ylenia Covalea

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